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Pesato, pesato…trovato mancante!

A conclusione del corrente anno scolastico gli insegnanti sono impegnati nelle consuete verifiche
delle attività svolte, riguardanti il raggiungimento degli obbiettivi dichiarati a inizio anno nelle
programmazioni. In ogni caso, l’obbiettivo principale della scuola pubblica, quello di garantire il
diritto allo studio a tutti i ragazzi e le ragazze senza distinzione resta sullo sfondo, spesso
dimenticato nel clima di emergenza continua e nella marea di adempimenti burocratici che
ingolfano il funzionamento della scuola.
A partire dalla scuola dell’infanzia, in cui le richieste di iscrizione superano i posti a disposizione,
passando per le scuole primarie con il cronico sovraffollamento delle aule, i piani dell’inclusione
degli alunni in difficoltà e i progetti di qualificazione scolastica attuati a costo zero, perché i fondi
sono stati ridimensionati rispetto a due anni fa del 70 %; attraverso la scuola secondaria, in cui il
governo di fronte all’aumento degli studenti taglia le cattedre, scuola egregiamente tenuta in piedi
da un esercito di supplenti spesso retribuiti con mesi di ritardo; per finire all’università, in cui
secondo le parole del Ministro Giannini, occorre “superare la cronica mancanza di
programmazione”, procedere alla semplificazione normativa, finanziaria e del reclutamento e, non
ultimo, garantire agli studenti idonei, con le borse di studio, l’effettivo godimento di un diritto
costituzionale; senza affrontare poi i temi dell’edilizia scolastica, della valutazione, degli
aggiornamenti dei docenti, del piano di digitalizzazione… tutti argomenti scottanti ancora irrisolti
alla fine dell’ennesimo anno scolastico.
Nonostante siano state spese dai rappresentanti istituzionali molte parole, è opinione comune che il
principio ispiratore di questa amministrazione sia stato la spending review. Ma il diritto
all’istruzione non può essere materia di pareggio di bilancio! In questo orizzonte deludente,
ripensiamo alla fiducia con cui tutti avevano accolto il ministro entrante, alle aspettative, alle
speranze riposte nelle sue affermazioni e in quelle del capo del governo riguardo alla scuola,
purtroppo ancora disattese. È vero che chiunque voglia mettere mano all’istruzione deve fare i conti
con quelli che l’hanno preceduto e con un sistema globale, di cui la scuola è solo un tassello, che a
sua volta richiede di essere profondamente trasformato dalle fondamenta. Certo, il compito non è
facile e non è bene fare del disfattismo, perciò bisogna continuare a sperare che ognuno faccia
quello che può e deve fare per il bene delle future generazioni.
Oltre però all’aspetto economico e amministrativo, che pure ha il suo grande peso nella gestione
della scuola, c’è quello enorme della cultura pedagogica che il MIUR da venti e più anni ormai ha
archiviato nel dimenticatoio. L’argomento spunta poi, quasi per caso, all’esame di maturità classica,
con la versione dello scrittore greco Luciano che scrive sull’ignoranza come di un grande male
sociale: “dunque tutti noi assomigliamo a quelli che vagano nel buio, anzi soffriamo alla stessa
maniera dei ciechi, ora inciampando a caso, ora oltrepassando i confini senza alcun timore, e non
vedendo ciò che ci è vicino e davanti ai piedi, temendo come se fosse molesto ciò che è lontano e
molto distante…”, ma di quale ignoranza sta parlando? Non certo di quella delle conoscenze, abilità
e competenze, bensì di quella dello scopo ultimo, del fine a cui dovrebbe tendere tutta la nostra
conoscenza, abilità e competenza, ciò che dovrebbe motivare l’impegno di amministratori,
insegnanti, educatori, genitori e studenti. Quale tipo di uomo e di donna, quale cittadino e quale
società vogliamo formare attraverso la scuola? Qual è il “sapere” che vogliamo trasmettere, quello
nozionistico valutabile a quiz, o quello che fa diventare adulti responsabili e cittadini onesti? Ogni
cultura si regge su principi ispiratori che la fondano e le conferiscono valore, il paradosso della
nostra è la grande proliferazione di cosiddetti “valori” insieme alla mancanza di forza e di coerenza
degli stessi, un enorme contenitore di buone intenzioni senza consistenza formativa.
Peccato che l’argomento non sia mai affrontato nelle sedi ufficiali e non compaia mai negli ordini
del giorno di chi dovrebbe gestire la scuola come bene pubblico. Per questo il bilancio conclusivo
dell’anno scolastico non può che essere trovato mancante.
Allora che cosa stanno facendo gli insegnanti, sono degli ingenui idealisti che credono ancora nella
scuola come strumento di emancipazione? Oppure sono “scoppiati” dopo trent’anni di scuola e non
vedono l’ora di andare in pensione? Noi insegnanti evangelici possiamo ancora trovare nel nostro
lavoro un’occasione di grande entusiasmo e di soddisfazione, perché abbiamo ben chiaro che tipo di
uomo e di cittadino vogliamo contribuire a formare e lo vediamo già in embrione in ogni alunno, in
ogni ragazzo con cui ci impegniamo a lavorare. Nonostante il disinteresse di molti e l’ignoranza
morale e culturale, continuiamo a credere nel valore di ogni persona che ci è affidata e coltiviamo la
speranza che la sua mente e il suo cuore siano presi dal desiderio della vera conoscenza, quella che
ha come fine la giustizia, la verità, la bontà e la vita, antichi ed eterni valori sui quali una società
può edificarsi, durare e reggere alle sfide della contemporaneità.

Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – 1 luglio 2014