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Non conformatevi….

Spunti per la riflessione tratti dal libro On Christian Teaching di David I. Smith, Eerdmans 2018.

Prima di guidarci nei nostri tentativi di applicare la fede alla pedagogia, abbiamo visto che nei primi capitoli del suo libro Smith ci porta a provare insoddisfazione con i modelli di insegnamento esistenti. Dobbiamo chiederci che cosa è veramente un essere umano, che cosa è l’educazione, a che cosa serve l’apprendimento. E’ facile cominciare la propria carriera con entusiasmo e il desiderio di aiutare a cambiare questo mondo imperfetto nel quale stiamo entrando, migliorare i modi di educare pensati dagli altri, ma non sempre sappiamo applicare l’aggettivo “cristiano” all’educazione con le sue pratiche, politiche e ideologie. Piuttosto sono le nostre idee, convinzioni e passioni che sono cristiane. Sappiamo che la vita cristiana non è semplicemente una questione di avere una visione del mondo giusta ma riguarda anche la santificazione espressa nella condotta di tutti i giorni, ma come influisce questo sulle pratiche pedagogiche?

Pensando alle cose che lo lasciavano perplesso nel proprio insegnamento, l’autore ha cominciato a notare le immagini nei libri di testo disponibili e si è chiesto quale visione del mondo era implicita e quale risposta invitava. Poi ha preso in considerazione le parole e le frasi che riempivano le pagine di questi libri. Che cosa dicevano sul mondo in cui viviamo? Quale futuro veniva prospettato? Si rendeva conto che lavorava tutti i giorni con immagini e parole che evocavano un mondo che non era quello biblico in cui siamo chiamati ad amare Dio e onorare gli altri. E qui in Italia? In una pagina che vuole incoraggiare una serena convivenza fra persone di culture e provenienze diverse avete mai trovato l’espressione “siamo tutti fratelli”? La leggiamo con tutta tranquillità o ci disturba perché non è proprio quello che insegna la Parola di Dio (Giov: 1,12)? Questa è la visione cattolica romana, ma cosa dire poi di tutti quei testi che parlano dell’uomo come un prodotto del caso e della selezione naturale? Ci stiamo impegnando a ripensare i materiali che usiamo?

 Smith aveva considerato le pratiche nelle sue classi normali perché aveva dato per scontato una narrazione che dice chi siamo, chi dovremmo diventare, e cosa dovremmo saper fare. In tutto ciò, gli studenti assorbono l’ordine morale in cui queste pratiche sono radicate. Noi cristiani ci troviamo in mezzo a un conflitto e proviamo una certa tensione perché i programmi scolastici promuovono come un bene la competizione economica, la prosperità dell’individuo e il primato del pragmatico, mentre noi siamo legati ai temi cristiani dell’amore di Dio e del prossimo. La sfida per noi è di capire a quale mondo ci stiamo conformando (Rom 12:1-3) e di essere aperti alla trasformazione.

Smith non crede che la fede cristiana possa dirci semplicemente come insegnare, né ci fornisca delle mosse didattiche cristiane uniche, ma può svolgere un ruolo generativo nel pensare la pedagogia. Per esempio, ci può stimolare a cercare dei modi di insegnare che potrebbero attuare e favorire una tendenza a onorare gli altri come persone dello stesso valore di noi. L’autore sentiva il bisogno di materiale che gli avrebbe permesso di costruire l’apprendimento attorno a foto, disegni, testi, film, ecc., in grado di offrire una percezione più profonda dell’essere umano fatto a immagine di Dio. Poi, nelle sue lezioni di seconda lingua, ha cominciato a considerare il tipo di linguaggio che modellava e insegnava. Era davvero la cosa più importante imparare a dare voce alle proprie richieste, o sarebbe stato ugualmente importante ascoltare le storie degli altri? Imparare dagli altri avrebbe portato i suoi alunni a riflettere sulle proprie vite e identità e la classe di lingua sarebbe diventata un luogo moralmente significativo. Capiva che i suoi alunni avevano bisogno di imparare come veramente essere attenti invece di esprimere giudizi frettolosi basati su impressioni superficiali. L’amore per il prossimo richiede una disponibilità ad ascoltare. Smith cominciava a formulare degli obbiettivi pedagogici e perfino delle pratiche pedagogiche che avrebbero suggerito una cornice per tentare il prossimo passo – il disegno di attività di apprendimento efficaci.

Le nostre decisioni pedagogiche non saranno infallibili. Potrebbero non funzionare e aver bisogno di essere riviste, cambiate, migliorate, ma è importante fare questo tentativo di cercare un’integrità pedagogica, una coerenza tra le convinzioni iniziali e le mosse didattiche concrete. Per usare l’immagine usata dal teologo N. T. Wright (1) per descrivere la situazione dei credenti oggi che cercano di vivere sotto l’autorità della Bibbia in un contesto storico e culturale diverso dai tempi in cui fu scritto la Bibbia, è come ritrovare una commedia di Shakespeare perduta che è talmente bella e ricca che non si può non recitarla, ma manca l’ultimo atto. Nessuno può pretendere di sapere esattamente quello che avrebbe scritto Shakespeare ma, immergendosi nei primi quattro atti e nella lingua e cultura di quel tempo, si può cercare di finire il lavoro nel modo più coerente possibile con ciò che era già scritto. La sfida e la responsabilità per noi insegnanti è di disegnare delle pratiche che sono in linea con le nostre convinzioni riguardo alla verità su Dio, l’umanità, e il mondo, una corrispondenza tra ciò che crediamo e ciò che facciamo in classe.

(1) N. T. Wright, The New Testament and the People of God (Minneapolis:Fortress Press, 1992), 140.

Brenda Crook – Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – settembre 2024