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Agli amici del “31 Ottobre.

Cari amici dell’Associazione 31 Ottobre, ho letto in alcune pubblicazioni la vostra proposta: “Per
un insegnamento aconfessionale delle religioni nella storia”, e desidero intervenire in merito perché,
come cristiana e come insegnante elementare, mi sento direttamente chiamata in causa. Sebbene
tale progetto sia molto bene intonato e in linea col più vasto coro delle iniziative interculturali e
pluraliste (vedi Rapporto Debray), mi sembra di rilevare in esso un’incoerenza interna, che lo rende
culturalmente e cristianamente debole.
Che un insegnamento delle religioni possa essere aconfessionale è una contraddizione degli stessi
termini. Prendiamo il termine “religione”: forse che la religione si può ridurre a un fenomeno
sociologico, psicologico, storico, istituzionale (in sintesi “culturale”)? No, anzi, direi che non è
nemmeno solo un “fenomeno”, ma è una realtà più profonda, che riguarda i presupposti, i
fondamenti stessi della cognizione e dell’esperienza del mondo, in termini biblici è una realtà
“spirituale”. L’atteggiamento religioso che parte dal profondo della persona è quella “lente”
attraverso la quale tutti i fenomeni vengono ricondotti a un’interpretazione più o meno significativa
e unitaria, e le risposte alle domande fondamentali dell’esistenza acquistano una loro distintiva
connotazione. Nel caso del cristianesimo, la realtà è considerata come opera del Dio creatore,
portatrice delle sue perfezioni invisibili; è decaduta per effetto del peccato, è redenta in Cristo e sarà
restituita alla sua originale integrità e bontà. Nel caso del buddismo, al contrario, la realtà è
un’illusione (maya) fatta di continui cicli di nascite e rinascite, dalla quale l’uomo deve sforzarsi di
uscire per attingere la verità più profonda, che sarebbe il vuoto (sunia) nel quale risiede la più alta
felicità (nirvana).
Nel caso del cristianesimo, la vocazione del discepolo è quella di proclamare l’unicità della
salvezza preparata da Dio in Cristo, per tutti i popoli; il discepolo buddista, invece, attraverso un
cammino di progressivo distacco dal desiderio e di disimpegno nei confronti del mondo, arriva alla
contemplazione della suprema realtà del nulla, e “assolve”, in un sentimento di compassione
cosmica, tutto lo scandalo del male.
Questo confronto tra cristianesimo e buddismo potrebbe essere ampliato anche ad altre religioni, ma
il risultato sarebbe sempre lo stesso: il cristianesimo è una religione esclusiva e totalizzante (non
totalitaria!); il Dio cristiano è l’unico Dio, Cristo è l’unico salvatore, e la religione del discepolo
cristiano non può che essere confessante, pena la perdita della stessa identità cristiana.
Anche partendo dalla parola “storia” non posso che giungere allo stesso risultato. La storia, o
meglio, la storiografia, si sa, è la disciplina idiografica per eccellenza, non solo nel senso che ha per
oggetto casi singoli e particolari, ma anche perché non può prendere avvio se non da un punto di
vista singolo e particolare. Per i cristiani la storia non è la manifestazione delle “magnifiche sorti e
progressive” dell’uomo, ma è il teatro della gloria di Dio. Diversamente, è un’elencazione di
avvenimenti incomprensibili e sfocianti nell’assurdo, come dimostra anche la crisi della disciplina
nel paradigma postmoderno. Anche lo stesso termine da voi usato, il “fatto” religioso, indica un uso
quanto meno improprio: se l’oggettività del “fatto”(il dato) è diventata problematica nelle scienze
esatte, come si potrà rievocarla e giustificarla nelle scienze storiche?
Quindi, sia partendo dalla religione, sia partendo dalla storia, la proposta di un insegnamento delle
religioni aconfessionale (culturale e laico) mi sembra teoricamente insostenibile.
Rimane il problema della laicità della scuola pubblica. Questa è una battaglia che ci vede schierati
dalla stessa parte, forse però, anche qui, con una diversa comprensione del termine “laico”. Come
ho avuto modo di scrivere in un’altra occasione, laicità non significa un’impossibile neutralità dei
punti di vista, garantita dalla cultura o dalla aconfessionalità; significa invece sovranità delle sfere,
ovvero la scuola e lo stato non si intromettano nell’educazione religiosa, alla quale non hanno alcun
diritto, né vocazione; la chiesa, anzi, le chiese, dal canto loro, esercitino il loro diritto di educare le
genti e di fare discepoli all’interno del loro legittimo ambito, senza cercare di ritagliarsi spazi
privilegiati nelle pubbliche istituzioni.
Confidando che, grazie al vostro impegno pluralista, questa posizione trovi udienza presso di voi e
spazio nelle vostre pubblicazioni, porgo distinti e cordiali saluti.

Il Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – 16 dicembre 2003