Back

La scuola della vergogna.

“Ecco perché, in tempi come questi, il saggio tace; perché i tempi sono malvagi” (Amos 5, 13)
“Non temere, ma parla e non tacere” (Atti 18:9)

Di fronte a tempi come questi, tempi malvagi, la scelta tra tacere e parlare può essere difficile. Se
scegliamo di parlare è per almeno due ragioni: primo, perché tacendo potremmo passare da
complici di quelli che fanno il male; secondo, perché sono tante le persone, non addette ai lavori e
non più a contatto con il mondo della scuola oggi, che possono essere tratte in inganno dalla
campagna mediatica sulle recenti innovazioni riguardanti la scuola.
Molti potrebbero pensare che, tutto sommato, le disposizioni ministeriali stanno restituendo alla
scuola la sua serietà e il suo rigore.
Ma ciò che non sanno è che dietro ai provvedimenti formali ce ne sono altri molto più sostanziali,
cioè pesanti tagli di personale e di risorse, che non rispondono a motivazioni pedagogiche, ma a
logiche puramente economiciste di riduzione della spesa pubblica. Eppure, dopo anni e anni di
simili “riforme”, quasi ci avevamo fatto l’abitudine… ma ora la situazione sta scadendo nel
ridicolo, se non nel drammatico.
Il neo Ministro dell’Istruzione ha offerto ampio materiale su cui intrattenersi nelle conversazioni di
salotto, con le novità che propone per il nuovo anno scolastico (molte delle quali in un baleno sono
diventate legge): il voto in condotta, il grembiulino, il maestro unico, che fanno tanto anni ‘60. Di
cifre non se ne parla volentieri… sono così astratte e noiose, e poi anche se si tratta di colpi di scure
che distruggeranno l’attuale fisionomia della scuola, tutti si aspettano che la tradizionale “furbizia”
italiana nell’arte di arrangiarsi faccia sì che le cose in qualche modo si aggiustino, perché no,
magari grazie a quegli insegnanti di buona volontà che fanno il mestiere per vocazione.
E se poi la scuola statale, pubblica, laica e gratuita, organo della Costituzione nelle intenzioni dei
padri costituenti, non sarà più che l’ombra di se stessa, non più in grado di assolvere ai principi
fondamentali dell’istruzione obbligatoria, della rimozione degli ostacoli per il pieno sviluppo della
persona ecc., beh, ormai questi sono ideali sorpassati, che stanno a cuore ormai solo a qualche
anziano signore.
Noi vogliamo parlare ancora, e dire che il male della scuola italiana non si può risolvere gettando
fumo negli occhi mentre se ne stravolgono le strutture e gli ordinamenti, bensì con una volontà
politica ampia e condivisa di affrontare questioni culturali, sociali e politiche molto più estese.
Il problema della crisi di autorità, ad esempio, non lo si risolve sostituendo i voti ai giudizi. La
frammentazione e la dispersione del sapere non si superano con il maestro unico. Il bullismo non si
sradica con il voto in condotta e il grembiulino non sarà in grado di inculcare il principio di uguale
dignità di ogni persona, a prescindere dalla razza, dalla cultura, dalla religione e dalle condizioni
sociali.
Perché l’autorità è un valore che va riformato a partire dalla sua origine. Il sapere non sarà più
organico e coerente se il maestro (unico) che lo trasmetterà sarà lui stesso disorganico e incoerente
nella sua cultura e nella sua professione. Il bullo del quartiere (erede di una sottocultura camorrista
o mafiosa o semplicemente figlio di papà) non sa che farsene del voto in condotta. Il rispetto della
diversità non dipende da come gli alunni si vestono in classe, ma da come si insegna loro a casa,
dalle frequentazioni che hanno, dal clima sociale generale e, non ultimo, dagli esempi praticati a
scuola.
Possiamo anche concordare con la riduzione dei costi per i libri scolastici, con una maggiore
disciplina ecc. ecc., ma il problema non riguarda solo la scuola, bensì un malcostume radicato nella
società nel suo complesso, e in ciascuna realtà sociale presa singolarmente, principalmente la
famiglia.
Bisogna allora chiedersi se è moralmente accettabile togliere la scuola a tempo pieno, e nel
contempo investire enormi risorse per ripescare dal fondo aziende fallimentari; o tagliare migliaia di
insegnanti delle discipline obbligatorie e di sostegno ai disabili e immettere in ruolo quelli di
religione cattolica, materia facoltativa, insegnanti che potrebbero benissimo essere considerati come
dipendenti di un “altro” Stato; potremmo chiederci se è morale “salvare” per decreto squadre di
calcio indebitate fino al collo ed annullare gli investimenti per la ricerca e per la pubblica istruzione.
Non si tratta di destra o di sinistra, perché in questa deriva entrambe sono responsabili di non aver
avuto la volontà politica di salvare un’istituzione fondamentale per il Paese. La scuola statale è stata
fortemente messa in difficoltà, ma non saremo noi a togliere la patata bollente dal fuoco.
Noi lavoreremo ancora con serietà e dedizione insieme a tanti altri, ma di ciò che sarà ognuno, in
particolare la classe politica, porterà le sue proprie responsabilità.
Al momento di ripresentarci quest’anno ai genitori che ci affideranno i loro bambini e ragazzi, non
ci sentiamo davvero di rassicurarli. Per la situazione in cui versa la scuola statale, come cittadini di
fronte a ipotetici osservatori esterni, non possiamo che vergognarci.

Il Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – 1 settembre 2008