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“Quando le fondamenta sono rovinate, cosa può fare il giusto?” (Salmo 11:3)

Per comprendere i recenti eventi riguardanti la scuola bisogna collocarli in uno scenario più ampio,
che con crudo realismo consideri il progressivo deterioramento della vita sociale, economica e
culturale in ogni paese. Oltre a essere drammaticamente attuale, questo è un fenomeno sistemico,
nel senso che riguarda tutto l’insieme e ciascuna realtà presa singolarmente. L’individuo, la
famiglia, la scuola, l’impresa, la sanità, lo stato, le istituzioni democratiche, l’ambiente, la cultura…
nulla si sottrae alla crisi delle sue strutture, al crollo delle sue fondamenta.
Prendere atto di questo dato inconfutabile è il primo passo per cominciare a intravedere la via
d’uscita.
Ma una volta arrivati a questa consapevolezza, le reazioni possono essere molto diverse. Come in
mezzo al naufragio di una grande nave, c’è chi si consola con improbabili speranze di liberazione
che risiederebbero proprio in questo “relativo caos”, c’è chi si aggrappa tenacemente alle vecchie
ideologie ormai tramontate e incapaci di dare soluzioni vere, c’è chi furbescamente cerca di
scampare tenendo come bussola il proprio privato interesse, e c’è chi si interroga sulle ragioni
ultime, sui perché, per affrontare lucidamente la situazione e rintracciare una possibile soluzione.
Nel declino mondiale a cui stiamo assistendo, l’Italia spicca per il caos delle sue scelte politiche,
che non sembrano mirare seriamente alle sorti del Paese.
Negli anni passati la cosa pubblica è stata abusata ora dagli uni ora dagli altri in modo clientelare e
a detrimento del bene comune. Ma invece di appurare le effettive responsabilità e di applicare le
leggi ordinarie per punire i colpevoli, si sono presi di mira in modo indiscriminato interi settori
della società, mettendo in un solo fascio malfattori e onesti cittadini.
C’è la crisi economica, ma invece di fissare le priorità della nazione e di ridimensionare il
superfluo, si tagliano senza criterio attività fondamentali per il nostro futuro, come la scuola e la
ricerca.
Tutti sono d’accordo che la scuola va riformata, ma sul che cosa, sul come e sul perché non c’è
chiarezza. Bisogna pensare che, quando in un sistema si vanno a modificare le condizioni di un
elemento, tutto il sistema deve riorganizzarsi sulla base di quel cambiamento.
Una riforma della scuola, per essere veramente tale, deve comportare anche una riforma del mondo
del lavoro e della situazione delle famiglie, che della scuola si avvalgono. Inutile nasconderlo, negli
ultimi provvedimenti per l’istruzione pubblica il tempo pieno come modello pedagogico è stato
abolito, le 24 ore di scuola non tengono conto delle esigenze di tantissime famiglie e della loro
stretta connessione con il tempo scuola. Il taglio di ore, di insegnanti e di indirizzi nelle secondarie,
non sembra rispondere a un disegno organico di riforma, ma di semplice quadratura dei conti.
Certo che sulla validità dei modelli pedagogici degli ultimi trent’anni abbiamo anche noi qualche
riserva. Sull’onda della protesta degli anni ’70, dell’emergere di nuovi bisogni sociali e
dell’estensione del concetto di educazione a tutte le fasce d’età, la scuola ha progressivamente fatto
propri compiti e doveri fino ad allora assolti dalla famiglia. E così si é assistito a una crescente
deresponsabilizzazione dei genitori nei confronti del compito educativo, e ad un fenomeno di
“gigantismo” della scuola che, nonostante gli organi collegiali e l’autonomia, non si è potuta
liberare da una gestione centralista e burocratica. La scuola non deve e non può sostituire
l’educazione parentale, ma se non si ricomincia dalla famiglia, dalla ridefinizione della sua natura,
dal riconoscimento pubblico del suo valore e della sua importanza, con conseguenti effetti sulle
concrete condizioni di vita delle famiglie, non si potrà riformare veramente la scuola.
Noi auspichiamo un corretto ridimensionamento del ruolo dello Stato, che riconosca la propria
incompetenza in alcuni ambiti educativi di cui si sta occupando, primo fra tutti l’insegnamento
religioso, e rimuova l’ora di religione con i suoi insegnanti (pensate che risparmio!), che miri a
garantire una scuola statale laica, democratica, di alto livello culturale, che risponda alla sua
funzione di organo della Costituzione, promuovendo il diritto allo studio, e rimuovendo “gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione).
I dettami della riforma Gelmini sembrano al contrario configurare un vero e proprio
smantellamento e snaturamento della scuola pubblica, mentre avallano la sua progressiva
clericalizzazione.
Si è detto che questa non sarebbe una riforma, perché priva di un progetto pedagogico. Invece il
progetto c’è, è alla discussione di una commissione parlamentare, ed è firmato Aprea. È una
proposta di riforma della scuola che farebbe del sistema scolastico italiano non un sistema “misto”
(come vuole dare a intendere), bensì un ibrido, in cui Stato e privati insieme contribuirebbero a un
progetto pedagogico, risultante dalla giustapposizione dei relativi interessi, obbiettivi e finalità,
tenendo conto “delle prevalenti richieste delle famiglie”. Non sfugge qui il suono un po’ sinistro del
termine “prevalenti”, che non significa “migliori” o “più giuste”, ma solo più forti, come sono
infatti in Italia le lobbies cattoliche, le cui richieste hanno prevalso nelle politiche scolastiche degli
ultimi anni. Non per nulla la sussidiarietà (concetto cattolico) è stata definita la “stella polare” di
questa proposta di legge.
Noi invece auspichiamo una riforma del sistema scolastico in cui prioritaria sia la rivisitazione della
conoscenza e della sua funzione sociale, in cui accanto a una scuola statale laica e democratica
possa esprimersi la varietà e la ricchezza culturale di soggetti, responsabili di un proprio progetto
pedagogico unitario, coerente e finalizzato alla promozione della persona, secondo un modello di
umanità e di società pubblicamente condiviso. Dietro ogni progetto educativo c’è una visione del
mondo, e dietro alla libertà di educazione ci sono il pluralismo, la libertà religiosa, la separazione
tra chiese e Stato, la laicità come salvaguardia dei diversi ambiti di responsabilità e di sovranità.
Il nostro progetto, in quanto cristiani evangelicali, è un progetto educativo di riconciliazione. Di
riconciliazione tra i vari “corpi” e istituzioni che concorrono alla costituzione della società, di
riconciliazione con l’ambiente, per uno sviluppo sostenibile e uno stile di vita sobrio, di
riconciliazione tra uomo e donna nel riconoscimento della rispettiva diversità e complementarità, tra
razze e culture nel reciproco rispetto, tra umanità creata e Creatore, dal quale siamo separati da una
rottura storica. Ma insieme alla riconciliazione c’è anche il senso del limite, oltre il quale le
situazioni diventeranno irreversibili, e in parte lo sono già diventate.
Oggi è il giorno in cui possiamo ancora agire, o continuando a servire gli idoli del nostro tempo, a
seguire i maestri e le strade che ci hanno portato alla condizione attuale, oppure dando luogo a una
coraggiosa autocritica, mettendoci in discussione insieme al sistema malato in cui viviamo e
aprendoci alla possibilità di una ricostruzione delle fondamenta su nuove basi.
Per quanto ci riguarda, scegliamo la seconda, e auspichiamo fortemente che altri facciano
altrettanto.

Il Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – 2 novembre 2009