IFED – Padova
Giornate teologiche 2005
«Le sfide della laicità»
Documento finale
La “laicità” è una reale sfida per chiunque. Non basta servirsi del termine, bisogna indicarne il senso. Gran parte delle anomalie che scandiscono la vita civile, sono riconducibili a carenze concettuali. Ecco perché è necessario aprire piste di riflessione in proposito.
I. Elementi di riferimento
I.1 La laicità impone di chiarire i termini usati. La laicità è un impasto semantico complesso e talvolta sfuggente. Essa confina con tutta una serie di altre nozioni, come il pluralismo, il relativismo, il sincretismo, lo scetticismo, anche se la laicità non è sinonimo di nessuno di questi termini.
Nella sua accezione moderna, laicità deriva dal francese e indica la separazione tra stato e religione perseguita negli ultimi due secoli. La distinzione tra sfera dello stato e sfera delle religioni/chiese è un contrappeso a visioni integraliste, totalitarie e dominanti. La laicità è intesa come lo spazio pubblico accessibile a tutti in quanto cittadini e comunità, senza discriminazioni di appartenenza religiosa. Questo spazio tocca i diritti costituzionali, le dinamiche e le scelte politiche, l’accesso e l’uso dei mezzi di comunicazione, il sistema educativo, ecc.
Talvolta, la laicità è anche compresa come metodo d’indagine, di conoscenza o di relazione. Laico è pensato come un modello capace di smussare le differenze e sottolineare la necessità della reciproca tolleranza. Rimanda inoltre alla libertà di coscienza e al principio di non discriminazione.
Oltre alla sua conformazione consolidata, anche la laicità ha le sue degenerazioni. Infatti, il laicismo è quell’atteggiamento anti-religioso da parte di chi ritiene le religioni irrilevanti se non pericolose, e di chi promuove la loro eliminazione dallo spazio pubblico. Laicista è anche chi si ritiene scevro da presupposti religiosi e combatte il pensiero religioso, non apprezzando il fatto che tutto il pensiero è “religioso”, cioè legato a degli assoluti.
I.2 La laicità è afflitta da modelli carenti. I modelli di laicità che si sono affermati sin qui sono difettosi ed insoddisfacenti. Prima di tutto quando la laicità evoca l’idea di neutralità. Si tratta d’una pretesa insostenibile in quanto ogni metodo è intriso di presupposti religiosi, non è mai veramente neutrale e nemmeno equidistante.
Non è neppure accettabile la “laicità per sottrazione” (tipica della tradizione francese) che ha relegato le convinzioni religiose ad un ambito privato e ha ingigantito il ruolo dello stato nel regolare la vita delle comunità. In questo modo, lo stato ha avuto la tentazione di interferire nella definizione delle singole identità, impedendo loro di avere un ruolo pubblico.
D’altro lato, il “multiculturalismo” ha reso difficoltosa l’individuazione di una base di valori comuni e ha estremizzato le particolarità fino a renderle variabili del tutto indipendenti. Così facendo, le diverse comunità tendono a diventare isole incomunicanti e a sviluppare relazioni conflittuali. Sulla base dei limiti dei modelli di laicità, molti sono convinti della necessità di elaborare un modello di “laicità di relazione” che riconosca un ruolo pubblico alle diverse identità e, allo stesso tempo, permetta la loro interazione in un quadro di valori imprescindibili.
I.3 La laicità deve fare i conti con orientamenti di pensiero lacunosi. La ricerca di nuovi modelli di laicità abbisogna di contributi che siano in grado di suggerire piste diverse da quelle ereditate. Purtroppo, non vi sono segnali incoraggianti in questo campo. Pur non potendo generalizzare, si può dire che sia il pensiero cattolico che quello secolare non offrano spunti promettenti. Il primo è portatore di una contraddizione interna per cui la Chiesa cattolica è sia chiesa che stato (il Vaticano). Visto che la laicità impone la netta distinzione tra le due, un pensiero che invece le confonde risulta ambiguo e poco chiaro. Storicamente, poi, il cattolicesimo ha cercato di relazionarsi agli stati in quanto stato, mediante i regimi concordatari, non favorendo quindi lo sviluppo della laicità.
Per contro, il pensiero secolare è spesso afflitto da tentazioni laiciste (anti-religiose) e quindi non ha la sufficiente serenità nel pensare la relazione tra stato e religioni e nel perseguire una laicità compiuta. Anche quando ciò non accade, il pensiero secolare è talvolta così dogmatico nel suo apparente antidogmatismo da non comprendere il ruolo delle convinzioni religiose. Se ciò si verifica, si pretende di piegare i credi religiosi a quello secolare, non rispettando i primi e irrigidendo il secondo. Alla luce di questa difficoltà, urge un contributo da parte di altri orientamenti di pensiero che arricchiscano il dibattito con elementi fecondi.
II. Questioni da affrontare
II.1 La laicità è parte integrante dell’agenda della nostra società. Per quanto possa apparire un principio riconosciuto dal punto di vista costituzionale e scontato su quello culturale, la laicità è ancora un progetto incompiuto. Soprattutto in Italia, dove il ruolo della Chiesa cattolica è preponderante, gli spazi di laicità sono schiacciati dall’interventismo ecclesiastico e tale schiacciamento è consentito da una cultura politica acquiescente. La laicità è oggetto di costante sollecitazione nella scuola pubblica (con l’IRC), nei media, nell’amministrazione della cosa pubblica, nei comportamenti collettivi, ecc. L’orizzonte europeo rappresenta una possibilità in più da valorizzare per favorire la maturazione della laicità in Italia, ma essa deve essere considerata una priorità dell’agenda politico-culturale del nostro Paese.
II.2 La laicità pone una sfida di ordine teologico. La laicità rimanda al tema dell’uno e del molteplice e alla loro relazione. Come si rispetta la diversità sociale senza spaccare la società in tanti segmenti violentemente antagonisti tra loro? Come promuovere la coesione sociale senza appiattire le specifiche identità? Come far convivere uno stato rispettoso delle diversità e una società plurale che si riconosce in una piattaforma di valori comuni? Da un punto di vista teologico, solo un pensiero trinitario, in cui l’uno e il molteplice sono entrambi ultimi, potrà essere in grado di elaborare ed attuare spazi adeguati di laicità. Al di fuori di un pensiero trinitario, vi saranno schiacciamenti sull’unità o sulla molteplicità. In altre parole, si sarà soggetti al predominio dello stato sulle diversità sociali o alla conflittualità tra le diverse identità.
Oltre allo sviluppo di un pensiero dell’uno e del molteplice, la laicità necessita di un’adeguata concezione della “sovranità delle sfere”. In sintesi, essa può essere formulata così: ogni sfera di cui è composta la vita è sovrana su sé stessa e la sovranità di ciascuna sfera deve essere rispettata, valorizzata e salvaguardata dalle altre sfere. Ogni sfera (persona, famiglia, imprese, associazioni, stato, ecc.) si relaziona alla pari con le altre sfere in un quadro di mutua contribuzione alla vita dell’insieme sociale. In questo modo, lo stato esercita le sue prerogative rispettando quelle delle chiese e viceversa.
Se il pensiero protestante ha dato un notevole contributo ai temi della libertà di coscienza e alla distinzione tra chiesa e stato, la teologia cristiana contemporanea ha un compito pubblico ulteriore nel tradurre in forme culturalmente sostenibili la relazione tra l’uno e il molteplice nel quadro della sovranità delle sfere.
III. Piste per orientarsi
III.1 La laicità non può prescindere dal riconoscimento delle convinzioni religiose. L’idea di laicità deve rinviare alla presunzione di verità delle varie convinzioni e mantenere la legittimità dei convincimenti profondi. Le pretese veritative dell’altro vanno quindi considerate e non negate, mantenute e non diluite o rimosse. La necessità di mantenere con forza simili agganci ha a che fare con l’identità. La convinzione è giustamente una condizione sine qua non dell’identità prima e della convivenza poi. Sarebbe quindi errato relativizzarle o addirittura rimuoverle. Rivendicare una totale autonomia nei confronti di vincoli ideologici, pensare che per essere laici non c’è bisogno di punti di riferimento, è profondamente illusorio. Nei confronti dei vincoli ideologici non esiste alcuna possibilità d’indipendenza, d’astensione e di negazione.
La verità appare invece come ciò che dà stabilità. Per sua natura, la presunzione di verità della fede è talmente universale da non poter essere relegata nel privato. Parlare di libertà di coscienza come matrice di ogni altro diritto, non è sufficiente. Bisogna che la coscienza sia nutrita da qualche tipo d’ideale plausibile altrimenti si rimane nella sfera del privato. La laicità deve intrattenere una relazione esigente con quest’istanza di verità proveniente dal mondo religioso. I riferimenti culturali e religiosi possono essere diversi, ma se lo stato non s’identifica con alcuno di essi, può riconoscere a tutti il diritto alla libera espressione. Rinunciare a porre la questione della verità induce a lasciare campo libero all’utilitarismo tecnocratico. In questo modo si distrugge il senso stesso della laicità e con esso si distrugge la possibilità stessa di una società democratica. Quest’ultima suppone infatti un costante confronto sulla verità dei valori propugnati.
III.2 La laicità deve rispettare la pluralità delle opzioni. Ciascuno deve avere la libertà di scegliere la propria opzione. Nessuno deve avere la pretesa di regolare in modo assoluto il sistema nella sua totalità. Tutte le posizioni devono invece avere pari opportunità d’essere riconosciute su un piano di uguaglianza. Uno stato interessato a salvaguardare la dimensione pluralista della società non dovrebbe intrattenere rapporti privilegiati con una sola realtà, ma con tutte. Esso non ha competenza religiosa, né deve essere abilitato a compiere scelte religiose. I provvedimenti legislativi che riguardano le realtà religiose del Paese dovrebbero dare luogo ad un ascolto vero ed ampio di esse. Anziché impedirne o inibirne l’espressione, bisognerebbe favorire il loro ascolto. Ideologie e credi possono confrontarsi, anche appassionatamente, articolando discorsivamente le proprie ragioni, senza che nessuna posizione goda di uno statuto privilegiato o di una tutela particolare. Uno stato all’altezza delle proprie funzioni, non deve affidare a una chiesa il diritto d’amministrare una parte della popolazione come avviene in Italia per la Chiesa cattolica.
Aspirare ad una società pluralista non vuol dire dimenticare le esigenze della verità. Solo alimentandosi costantemente alle esigenze della verità, si può evitare di costruire sul nulla. Un pluralismo che si riduce a semplice moderazione, senza richiamo ad un assoluto, scivola nel qualunquismo.
III.3 La laicità deve incoraggiare la pratica costante del dialogo. Nel rispetto delle convinzioni e della pluralità di opzioni, la laicità si nutre del dialogo tra le parti. Tale dialogo non può darsi nell’indifferenza, bensì nella competenza. L’altro non è accettato perché ignorato, ma in quanto riconosciuto. Il riconoscimento è il primo passo della comunicazione che implica interazione.
Il dialogo e il confronto possono incutere paura laddove il paradigma identitario è debole e si avverte timore nel fatto stesso di porsi in relazione ai diversi. Un’identità consapevole delle sue convinzioni e rispettosa della sovranità delle sfere è serenamente aperta a qualsiasi occasione di dialogo, anzi la cerca. Aprirsi al dialogo non significa relativizzare le proprie convinzioni e abbandonare le pretese veritative (come vorrebbe certo pensiero laicista), ma vuol dire riconoscere la necessità del confronto pacifico, discorsivo, anche se appassionato. Lo stato deve essere interlocutore fattivo di questo dialogo tra diversi e deve incoraggiarlo il più possibile.
III.4 La laicità va costruita mediante la costituzione di:
– un tavolo della laicità in cui possano ritrovarsi realtà diverse impegnate ad elaborare una rinnovata visione della laicità e discutere specifiche tematiche in relazione all’educazione, alla bioetica, alla vita civile ad uso del legislatore. Pari opportunità devono essere riconosciute ad ogni posizione.
– una authority della laicità per sviluppare un indicatore di laicità in grado di monitorare l’influenza delle religioni, esterne ed interne (Critica liberale, XII, gennaio 2005, p. 7); per vigilare sulla pratica della laicità delle varie istituzioni e in genere della società civile. Una simile vigilanza dovrebbe essere un obbligo quotidiano di ciascuno e andrebbe condotta col concorso di tutti.
La laicità costituisce un vero e proprio fronte su cui ogni cittadino, a prescindere dalla propria appartenenza ideologica, deve sentirsi impegnato, affinché si realizzino modelli virtuosi di laicità.
Padova, 9-10 settembre 2005
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