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Proposta di un approccio pedagogico cristiano.

Approccio pedagogico cristiano tratto dal libro On Christian Teaching di David I. Smith, Eerdmans 2018.

Le scorse volte (14, 28 settembre) abbiamo visto come la fede può informare come insegniamo e impariamo, e non solo cosa e perché. A questo punto del suo libro, al sesto capitolo, Smith affronta questioni più pratiche per orientarci nel nostro compito di insegnare in modo cristiano e, prima di guidarci nella nostra programmazione, ci ricorda che non si tratta di seguire dei suggerimenti e adottare degli artifici che automaticamente produrranno i risultati desiderati.

L’approccio che l’autore ci presenta si chiama What If Learning [1], un nome che deriva da una strategia che consiste nell’avere una mentalità interrogativa davanti ai compiti pedagogici: “alla luce della fede, potrebbero essere diversi?” Ci sono tre tappe: see anew, choose engagement, e reshape practice.

See anew (vedere con occhi nuovi) è un invito a lavorare con l’immaginazione, non intesa come abilità narrativa, poetica, creativa, o invenzione di cose non vere, ma come riferimento alle storie, vere o false, valide o esagerate, che raccontiamo a noi stessi e ai nostri alunni su ciò che facciamo e perché. Le nostre parole e le nostre azioni raccontano sempre una storia su come dovrebbero essere le cose, e i nostri alunni da parte loro immaginano secondo le loro interpretazioni. Abbiamo bisogno di saper reimmaginare, a partire dalle Scritture, chi siamo in quanto insegnanti, chi e che cosa sono i nostri alunni, quali sono i loro bisogni, e ciò che può accadere in classe. Dobbiamo diventare persone capaci di immaginare in modi cristiani, di vedere le nostre aule attraverso le lenti della grazia, della giustizia, della bellezza, del diletto, della virtù, della fede, della speranza, e dell’amore. Smith sa che questo è un compito grande, lento, e crede che un modo importante per stimolare la capacità di vedere la pedagogia da capo, e di far sì che si radichi in un’immaginazione cristiana, sia quello di incoraggiare la condivisione e la riflessione dentro le nostre comunità di fede, senza trascurare il lavoro fatto in altri contesti sociali e storici.[2]

Tuttavia, la visione può restare semplici parole se i modi in cui gli alunni sono impegnati non la sostengono e non sono in sintonia con essa. Qualsiasi programmazione didattica porta con sé un insieme implicito di aspettative riguardo a chi sono gli alunni e come parteciperanno (e non parteciperanno) all’apprendimento. Focalizzare sull’engagement (coinvolgimento, impegno, partecipazione) ci aiuterà a considerare il significato di azioni apparentemente banali come assegnare una lettura per i compiti a casa, per esempio. E’ vero che gli insegnanti hanno un’influenza limitata sui comportamenti di apprendimento dei loro alunni fuori dell’aula, ma il modo in cui il testo verrà letto da loro sarà influenzato da come il compito è stato raffigurato e comunicato e dal modo in cui gli alunni dovranno rendere conto del lavoro svolto. La progettazione delle attività di apprendimento influisce sul tipo di interazione che emergerà tra l’insegnante e gli alunni, tra alunni e alunni, tra gli alunni e l’argomento, tra gli alunni e il testo, e tra gli alunni e il mondo più ampio. Delle scelte consapevoli creano una cornice di significato per la classe dentro la quale gli alunni sono aiutati a partecipare in una maniera che è in linea con la visione adottata. Dobbiamo “disegnare” l’ambiente di apprendimento materiale in modi che supportano la partecipazione che cerchiamo.

Parlare di come l’ambiente materiale guida l’apprendimento ci porta alla terza tappa, reshaping practice (ridesegnare la pratica), e qui consideriamo le nostre risorse e strategie. La visione e l’engagement sono sostenuti nel tempo e nello spazio con parole, immagini, e perfino con l’arredo. Si possono trasmettere con successo le informazioni del corso e raggiungere con successo dei risultati riguardo ai contenuti, ma sono stati mandati anche altri messaggi. Al cuore di reshaping practice  c’è il rapporto tra intenzione, atteggiamento, e i dettagli materiali dei processi di apprendimento incarnati, e l’invito è di riflettere su come vengono organizzati gli spazi fisici con i mobili, i tipi di supporti visivi utilizzati, le parole, frasi, metafore usate. II significato del comportamento pedagogico è trasmesso non solo a parole, ma anche in posizioni e posture. Anche come viene gestito il tempo ha la sua importanza. L’insegnamento sta sempre raccontando una storia su come abitiamo il tempo – su chi siamo, dove siamo adesso, e in quale direzione andiamo. Avviene dentro una concezione ampia del tempo, ma anche i piccoli movimenti contano. Piccole decisioni come quanti secondi aspettare una risposta dopo aver fatto una domanda sono in realtà collegate a questioni come l’inclusione, la comunità, e la giustizia. Abbiamo considerato come la fede ha a che fare con la nostra architettura del tempo, con la maniera in cui il trimestre o l’anno si sviluppa, con i significati comunicati dai modi in cui usiamo il ritmo, o il silenzio? Il collegamento tra fede e apprendimento non è una cosa capita intellettualmente dagli alunni in un momento particolare del tempo, ma l’insegnante deve costruire con pazienza utilizzando pratiche esplicite e intenzionali. Anche con l’uso del tempo si crea una “casa pedagogica”.

“L’integrazione di fede e apprendimento” non ha a che fare soltanto con le idee e i contenuti dei corsi. Cooling e Green [3] dicono che se pensiamo all’insegnamento come un insieme neutrale di tecniche con l’aggiunta occasionale di linguaggio religioso è probabile che le nostre lezioni saranno un po’ bizzarre. L’approccio What If Learning vuole ridurre la distanza tra parole e pratiche, fede e didattica. In un mondo complesso e corrotto dal peccato, rimarrà sempre una certa distanza di un tipo o di un altro, ma non significa che non possiamo lavorare in vista di una maggiore integrazione tra ciò che predichiamo e le azioni materiali che facciamo. Le nostre parole e le nostre azioni devono supportarsi a vicenda. Miriamo a un insieme di pratiche che suggeriscano modi particolari di vivere nel tempo e nello spazio e che aiutino a sostenere la storia che vogliamo raccontare.

Brenda Crook – Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – ottobre 2024

[1] Le principali risorse sviluppate fin qui usando questo modello sono accessibili a http://www.whatiflearning.com/ e http://whatiflearning.co.uk/ . Si veda anche il progetto FAST, http://teachfastly.com/

[2] Smith ci offre l’esempio di Bernardo di Chiaravalle, il riformatore dell’ordine cistercense nel dodicesimo secolo. In un sermone usa l’immagine della condivisione del pane in una comunione ospitale per parlare dell’insegnamento. Offriamo un vero nutrimento? Tutti sono autenticamente inclusi? C’è fragranza, bontà? Dirigiamo o serviamo? Siamo attenti ai dettagli? Qui torniamo all’idea dell’insegnamento come un atto di ospitalità, e dell’aula come spazio ospitale.

[3] Membri del team iniziale responsabile del progetto.